mercoledì 11 febbraio 2015



Commento capitoli XXXI – XXXIV,  Addio alle armi.

Nei capitoli precedenti Frederic, dopo il crollo del fronte a Caporetto, si trova travolto dalla caotica ritirata e viene fermato dalla polizia militare. Per sfuggire alla fucilazione il tenente si getta nel Tagliamento e, una volta lontano dai carabinieri, sale a bordo di un treno e si dirige a Milano dove lavorava Catherine Barkley, la sua fidanzata.
Arrivato lì, però, scopre che lei e una sua collega, Helen Ferguson, si erano recate a Stresa.
Frederic fa tappa da un suo conoscente, Simmons, che gli presta degli abiti borghesi, essendo lui ancora in uniforme. Poi prende il treno per raggiungere l’amata.
A Stresa i due si ritrovano e passano la notte insieme in un albergo. In quel momento decidono di fuggire in Svizzera, per scampare alla polizia militare che cercava i disertori come Frederic.

Il messaggio che traspare da queste pagine, è quello di crudeltà e inutilità della guerra. Paradossalmente, in queste occasioni, emergono anche i buoni sentimenti d’umanità della gente. Nonostante il protagonista sia un disertore, quindi un traditore, incontra persone che cercano di aiutarlo in ogni modo, sia materialmente che dando buoni consigli.
Nel brano Frederic scappa da un pericolo reale per la sua vita, ovvero dalla polizia militare, ma nel contempo cerca di lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra.“Stavo andando a dimenticare la guerra. Avevo fatta una pace separata” (pag. 253)
Essa, però, non può essere dimenticata: una grande disgrazia che ha distrutto una generazione e resterà, per sempre, impressa nella storia. “«Non parlarmi di guerra» dissi. La guerra era molto lontana. […] Ma non avevo la sensazione che fosse proprio finita” ( pag. 255)
Allo stesso tempo, il brano esalta l’amore in tutte le sue declinazioni, in opposizioni alle mostruosità della guerra.
Nel capitolo XXXIV si evidenziano, inoltre,, i due modi in cui viene interpretato l’amore. La Ferguson rappresenta quello tradizionale mentre Catherine quello passionale, nel nostro caso la fuga in Svizzera descrive il prevalere di quest’ultimo.
Ciò che mi ha colpito è che i sentimenti espressi: amore, amicizia, generosità, anche se riferiti ad eventi di un secolo fa sono estremamente attuali ed esprimono valori universali dei giorni nostri.




E. Hemingway, Addio alle armi, Traduzione di F. Pivano,
 Arnoldo Mondatori editore, 1970


Martina

lunedì 9 febbraio 2015



Niente di nuovo sul fronte Occidentale

Il capitolo quarto è la cronaca di una missione compiuta dalla compagnia di Paul Bäumer. La missione avviene di notte.
Il protagonista e i suoi compagni si ritrovarono con i suoi compagni nel mezzo di un attacco, tanto che dovettero ritirarsi carponi il più presto possibile per sfuggire ai colpi. A rendere ancora più atroce la scena furono le grida selvagge dei cavalli feriti che furono abbattuti facendo sparire non solo le urla, ma anche il dolore delle povere bestie.
Quando il tutto sembrava essere finito scoppiò una seconda esplosione. Paul e alcuni compagni trovarono riparo nelle buche di un cimitero. Ad un certo si accorsero della presenza di un uomo ferito da un feretro lanciato in aria da un’esplosione. Decisero allora di portarlo via in barella e provare a curarlo pur consapevoli del fatto che non sarebbe durato che pochi giorni.
Cessati i bombardamenti giunsero gli autocarri per tornare a “casa”, così esausti finirono in uno stato di dormiveglia.
I personaggi che emergono in questo capitolo sono il protagonista Paul, la voce narrante; Katzinski, il capo della squadra, che è un uomo duro e severo come lo dimostrano i suoi lineamenti. Ha buon fiuto per i ripari e per il cibo, per questo viene ritenuto intelligente e astuto.
Kemmerich, amico di Paul e molto bravo a scuola, è un tipo introverso e di corporatura esile. Alberto Kropp è molto puntiglioso e razionale.
Questo capitolo mi ha particolarmente impressionata per la sua crudezza nel descrivere quello che hanno passato, coloro che la guerra l’hanno vissuta e non studiata.
Del fronte il protagonista dice: «In realtà non si va in trincea, non si ha altro da fare che stendere reticolati; eppure in ogni volto si scorge che siamo ormai sul fronte, che esso ci ha in suo potere.[…]» Per me il fronte è un orribile gorgo. Mentre ancora ne sei lontano, là dove le acque sono ancora tranquille, già lo senti che ti assorbe, che ti attira, con una forza lenta, invincibile, che distrugge senza fatica ogni tua resistenza.
Ma dalla terra e dall’aria fluiscono pure in noi forze di difesa; soprattutto dalla terra. A nessuno la terra è amica quanto al fante»

Ragazzi poco più grandi di me, che avevano i miei stessi sogni e ideali, e che invece si son ritrovati a dover convivere con la paura e la precarietà. Come dice Kat: “Poveri figli di mamma, poveri figli innocenti..”
Il messaggio che traspare da questo brano è un messaggio antimilitarista. Egli vuole infatti lanciare un messaggio di pace alle nuove generazioni, facendo in modo che non si debba soffrire più in questo modo.
E.M.Remarque, Niente di nuovo sul fronte Occidentale, traduzione di Stefano Jacini, Oscar Mondadori, Milano, 1982

Marella


Commento capitoli X-XI, Addio alle armi di Ernest Hemingway



La vicenda narrata nei capitoli X e XI si svolge in una camera dell’ospedale di campo, nell’arco di una giornata.
Il protagonista Frederich Henry mentre prestava servizio nei reparti sanitari, rimase gravemente ferito alle gambe da una bombarda.
Ora invece si ritrovava disteso su un letto in ospedale, con le gambe fasciate, a parlare con il suo amico Rinaldi, anche lui tenente e compagno di stanza, ed a bere un po’ di Cognac.
Parlarono dell’incidente e del fatto che forse gli avrebbero dato una medaglia d’argento, ma quest’ultima solo se poteva dimostrare di aver compiuto qualche atto eroico.
Poi si spostarono sull’argomento “Miss Barkley”, l’infermiera che Frederich aveva conosciuto, che forse amava e che voleva vedere, dopo un po’ Rinaldi andò via.
A tarda sera ricevette visita anche dal Cappellano, il quale gli portò alcuni giornali e una bottiglia di Vermut.
Insieme parlarono a lungo, di guerra, volevano che finisse, dopo anche il Cappellano se ne andò e Frederich rimase un po’ sveglio a pensare e poi si addormentò.
L’indomani gli dissero che l’avrebbero trasferito nel nuovo ospedale americano a Milano perché essendo più attrezzato poteva fare i raggi x per poi essere operato al ginocchio e seguire un corso di riabilitazione.

Nella conversazione tra il protagonista e il Cappellano emerge la riflessione che alla maggior parte degli ufficiali piace far la guerra, perché pensano a vincere, a dare ordini, abusando a volte di potere, non badando più di tanto alle conseguenze sui soldati che sono obbligati ad eseguire ed a combattere anche se sono contrari.
Dalla seguente frase detta dal Cappellano «Non sono organizzati per fermarla e quando si organizzano i loro capi li vendono.» (pag.72) si capisce appunto che quando gruppi di soldati decidono di fare una rivolta per porre fine alla guerra o per cercare di cambiare alcune cose, i loro superiori, accecati dall’orgoglio e dal potere li condannano per ribellione, perché l’unica cosa che devono fare è quella di ascoltare ed eseguire.







Ernest Hemingway, Addio alle armi, Traduzione di F. Pivano, Oscar Mondatori, Milano, 2011




-Sabrina


Niente di nuovo sul fronte occidentale (Capitolo VIII)

Paul Bäumer, torna dalla licenza, ma per quattro settimane rimane nei baraccamenti del campo d’istruzione in brughiera, prima di andare in trincea. Accanto ai baraccamenti, v’era il campo dei prigionieri russi, i quali passavano il filo spinato per andare a frugare del cibo nelle botti dei rifiuti. Di sera venivano nelle loro baracche, (anche se non si conoscevano), contrattando tutto quello che avevano in cambio di pane.
Paul li descrive come erano ridotti e ciò che provavano: erano deboli, mal ridotti e affamati. Provava pena per loro sebbene siano nemici. Il protagonista descrive i prigionieri russi con facce che fanno pensare a bravi contadini, larghe fronti,nasi schiacciati, grosse labbra, grosse mani e capelli lanosi. Hanno l’aria timida e spaurita, alti di statura e portano barbe piene. “La loro vita è senza nome e senza colpa”(p. 150), e tutti questi pensieri lo condussero all’abisso.
Passavano le sere ad ascoltare un prigioniero mentre suonava il suo violino, almeno quando c’era la musica, non si sentivano più così tristi. L’ultima domenica, prima di partire per la trincea, vennero a trovarlo il padre e la sorella, passarono del tempo insieme ed egli chiese della madre, che si trova all’ospedale, per operarla, ma non avevano abbastanza denaro e l’operazione costava troppo, in questo modo il padre è costretto a fare qualche ora di straordinario pur di riuscir a curare la moglie.
Alla fine della giornata, Paul accompagna il padre e la sorella alla stazione,loro gli consegnano delle frittelle con la marmellata fatta dalla madre. Paul ne prese due da portare ai prigionieri.


Nei confronti dei prigionieri russi emerge un sentimento di fraternità “Un ordine ha trasformato queste figure silenziose in nemici nostri; un altro ordine potrebbe  trasformarli in nemici” (pag. 150).


E.M.Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, traduzione di S. Jacini, Arnoldo Mondadori, Milano, 1931

Melissa


COMMENTO CAPITOLI XXVI – XXVII
ADDIO ALLE ARMI (ERNEST HEMINGWAY)

Frederic, il protagonista e il narratore del libro, ritorna a Gorizia, dopo essere stato in ospedale, a Milano. Rivede l’amico Rinaldi e il cappellano. Il cappellano gli appare più sicuro di sé adesso, di quando Frederic se n’era andato.
Il sacerdote afferma che è stata un’estate terribile e che molta gente ha capito solo quest’estate che cos è la guerra. Dopo un lungo discorso sulla guerra, il cappellano e Frederic si danno la buona notte , stringendosi la mano al buio.
Frederic si sveglia quando Rinaldi rientra in camera e siccome lui non parla, Frederic si riaddormenta. Al mattino Frederic si sveglia e se ne va prima che faccia chiaro. Lui non aveva mai visto la Baisizza e gli sembrava strano salire il pendio dove erano stati gli austriaci, e dove lui era stato ferito. Egli vede una strada nuova ripida e più in là i boschi e le colline ripide. Poi, dove la strada non era protetta dalle colline, c’era un villaggio distrutto, le case erano danneggiate.
Lungo la strada Frederic incontra Gino, un ragazzo e un patriota simpatico, a cui tutti volevano bene. Gino gli dice che c’erano ancora un po’ di bombardamenti, che gli austriaci avrebbero attaccato, che a San Gabriele era stato un inferno e che lui sperava di andare a Caporetto. Dopo, Gino parte per ritornare a Gorizia.
Durante tutto il giorno continua un temporale, ma verso sera smise di piovere. Alle tre del mattino c’è un bombardamento e i croati attraversano le praterie della montagna e le zone boscose fino alla linea del fronte. Ci fu un gran bombardare. I feriti arrivano al posto di raccolta e riempiono due ambulanze. Mentre Frederic chiude lo sportello della seconda ambulanza, sente la pioggia diventare neve sulla sua faccia.
Quando giunge l’alba la tempesta infuriava ancora, ma non nevicava più. C’è un altro attacco subito dopo l’alba, ma senza successo. Gli austriaci non attaccarono quella notte, ma giunge notizia che c’era stata una grande battaglia, a nord, a Caporetto.
La sera dopo i tedeschi e gli austriaci sfondano a nord e scendono le valli della montagna verso Cividiale e Udine. Quella notte Frederic aiuta a vuotare gli ospedali da campo, portando i feriti a Plava, e l’indomani arranca tutto il giorno nella pioggia per evacuare gli ospedali e lo smistamento di Plava.
Il giorno dopo giungono a Gorizia. Arrivato alla villa del comando, Frederic vede che Rinaldi e il Maggiore se n’erano andati. Lui, allora, ritorna nella rimessa e nel frattempo arrivano le altre due ambulanze.
Frederic, Piani, Bonello e Ajmo entrano nella villa per dormire per alcune ore, dopodiché ripartire di nuovo. Prima di partire mangiano tutti insieme in cucina e bevono due bottiglie di vino. Fuori era buoio, continuava a piovere e Piani stava assonnato a tavola. Frederic si alza e dice che era ora di partire e che prima sarebbe partito lui con Piani e poi sarebbe arrivato Bonello e Ajmo.

In questi due capitoli è narrata la ritirata di Caporetto. Il compito di Frederic e dei suoi uomini è quello di evacuare l’ospedale, trasportando feriti e materiale sanitario, cioè, quindi, quello di soccorrere e aiutare i feriti.

E.Hemingway, Addio alle armi
Traduzione di F.Pivano
Oscar Mondatori, i meridiani
Verona, 1995



Erisa


Capitoli XXVIII – XXIX, Addio alle armi

La vicenda si svolge durante la ritirata dell’esercito italiano da Gorizia nell’ autunno-inverno del 1917.

Il Tenente Henry si sta ritirando con 3 ambulanze dal casolare dove è vissuto mentre si trovava a Gorizia.
I camion e le carrette procedevano lenti e molto spesso si impantanavano, mentre le truppe continuavano a marciare senza sosta nella pioggia.
Fermi in colonna durante la notte, il Tenente scese dal suo mezzo e si recò dagli altri due autisti: Bonello aveva caricato due sergenti che non erano riusciti a ricongiungersi con il loro reggimento, mentre Ajmo aveva accolto due sorelle:una appariva più estroversa mentre l’altra più chiusa.
Di ritorno alla macchina di Piani, ancora incolonnata il Tenente cominciò a pensare « al mio amore Chaterine » (pag. 211). Poco dopo ripartirono, ma la velocità era molto bassa: il Tenente allora scese, in cerca di un modo per aggirare la colonna, che ormai era colma anche di civili.
Tagliando per i campi, incontrarono una fattoria, dove poterono rifocillarsi. Quando ripartirono, le stradine erano diventate fangose a causa delle forti piogge dei giorni precedenti e si impantanò una macchina.
Il Tenente decise di provare a riportarla sulla strada, ma i sergenti non volevano aiutarlo, affermando:
« tra un momento sarete tagliati fuori » (pag. 218) e se ne andarono.
Il Tenente allora: « aprii la guaina, presi la pistola […] e sparai » prendendone uno, mentre l’altro fuggì. Bonello allora diede il colpo fatale al ferito.
Hanry, poi, non si perse d’animo e tentò ancora di liberare la macchina dal fango, ma nulla servì. Allora decisero di lasciar andare le due sorelle « “Andate laggiù” […] “Amici! Famiglia!” » (pag. 220).
In quel momento Bonello si rese conto di aver ucciso un uomo e mentre parlavano continuarono a camminare lungo strade di campagna.

Questo testo comprende diversi personaggi:
il Tenente Henry, addetto al trasporto dei feriti e gli autisti che lo accompagnano nella ritirata:
Ajmo, che morirà poco dopo nelle campagne;
Bonello, il quale si costituirà dopo la morte di Ajmo e la conseguente fuga con il Tenente e Piani, che resterà con il Tenente finché quest’ultimo non verrà preso dalla polizia militare;
i sergenti, uno fuggito e l’altro ucciso;
le due sorelle, che resteranno con loro fino alla decisione del gruppo di continuare a piedi per le strade di campagna.

Questo episodio contiene diverse sequenze descrittive dei luoghi che il protagonista-narratore, il Tenente Frederic Henry, vede oltre il finestrino dell’ambulanza, sequenze con i dialoghi tra i vari personaggi e sequenze narrative, più brevi, che contestualizzano la vicenda. Questo stile permette di comprendere chiaramente le situazioni affrontate dai personaggi e le sensazioni da loro provate.
Il tema della guerra, molto presente in questo brano, fa comprendere quanto fosse difficile la vita dei soldati ai tempi della guerra;
l’inesperienza degli arruolati « Non ho mai ucciso nessuno in questa guerra » (pag. 221-222);
la mancanza che i soldati sentono delle persone amate « Cristo, se il mio amore fosse tra le mie braccia » (pag 221), e come, gli effetti della guerra, si riflettano sui civili rendendo le loro condizioni di vita estremamente precarie e difficili « molti contadini si erano uniti alla colonna […] vi erano carri carichi di masserizie domestiche » (pag 212).

Questo brano, per me, è un monito per la pace: l’umanità deve vivere in pace per fare in modo che, avvenimenti come quelli descritti in queste pagine, non si ripetano in futuro e fa comprendere la desolazione che, come un fantasma, si aggira tra i campi di battaglia e i soldati, svuotandoli da dentro, rendendoli “morti viventi”.

Tratto da E. Hemingway, Addio alle armi, traduzione di F. Pivano
Edizione Oscar Mondatori, Milano 2010

Eleonora


Niente di nuovo sul fronte occidentale (capitolo 1)

Paul Bäumer e i suoi compagni vengono mandati a riposo nelle retrovie dopo due settimane passate in prima linea. La sua compagnia però, è stata letteralmente dimezzata: degli iniziali 150 uomini ne sono tornati 70, i quali ricevono una doppia razione di cibo e di tabacco. Il protagonista passa alcune ore di riposo e di svago con i suoi compagni di liceo Kropp, Müller, Leer e con gli altri amici Tjaden e Kat. Insieme vanno a trovare il loro amico Kemmerich, a cui è stata amputata una gamba e a cui resta poco da vivere. Tornando al campo, Paul ripensa alle condizioni di Kemmerich e agli altri amici già morti in combattimento, immagini che si contrappongono a quella del loro ex professore Kantorek, il quale li aveva convinti ad arruolarsi e che ha mandato loro una lettera in cui li chiama “gioventù di ferro”. Paul si rende conto, amaramente, che la loro vita al fronte è ben diversa dalle frasi retoriche di Kantorek; loro non sono affatto la “gioventù di ferro”, la guerra ha trasformato dei liceali diciannovenni in vecchi.

“Questo libro non vuol essere né un atto d’accusa né una confessione. Esso non è che il tentativo di raffigurare una generazione la quale – anche se sfuggì alle granate – venne distrutta dalla guerra”.
Con questo incipit Erik Maria Remarque apriva il suo capolavoro, “Niente di nuovo sul fronte occidentale” (1929), che ebbe un enorme successo, diventando uno dei primi bestseller del Novecento.
L’opera era chiaramente ispirata alla partecipazione di Remarque alla Prima Guerra Mondiale nei combattimenti delle Fiandre nel fronte, appunto, occidentale.

Il libro è strutturato come un diario di guerra del protagonista Paul Bäumer, il quale racconta in prima persona la vita in trincea e i periodi della licenza e dell’ospedale.

In questo brano, secondo me si capisce fin dall’inizio la brutalità della guerra con una scena a prima vista banale, cioè quando i soldati della seconda compagnia, partiti in 150, sono tornati in meno della metà per un attacco nemico durante l’ultimo dei 15 giorni di trincea. Paul e gli altri compagni, pur approfittando della doppia razione di cibo e tabacco, sono consapevoli che sarebbero potuti esserci loro tra gli 80 caduti di quel giorno, a dimostrazione di come sia precaria la vita al fronte.

E. M. Remarque, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, trad. di S. Jacini, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1982

Alberto


Il capitolo XLI. La conclusione di “Addio alle armi”.

Questo capitolo parla del lungo e travagliato parto di  Cathrine Barkley, l’infermiera che Frederick, il protagonista del romanzo, aveva conosciuto al fronte. Tra loro era nato un passionale amore, e ora Cathrine stava per dare alla luce il loro bambino.

Quando Cathrine durante una notte in albergo si accorge di avere delle contrazioni, decide quindi di andare in ospedale con Frederick.
Arrivati lì i due si sistemano in una stanza nella quale la futura madre viene monitorata da un’infermiera la quale, per diminuire il dolore, le fa inalare dell’etere.
Nel contempo Frederick è costretto ad uscire dalla stanza dove è ricoverata Cathrine più volte e per diverse ragioni, ma soprattutto per non dover vedere l’amata in quelle condizioni.
Dopo quasi un giorno di travaglio viene comunicato al protagonista che per far nascere il bambino c’è bisogno di un parto cesareo; l’uomo acconsente e torna da Cathrine, ormai pronta per essere operata.
Quando il neonato nasce, il protagonista non prova alcun sentimento d’amore per il piccolo che aveva quasi ucciso l’amata.
Finita l’operazione Cathrine si trovò ad essere stanca e spossata, quindi per evitarle qualsiasi sforzo, Frederick uscì dalla stanza dove si trovava e si preoccupò della salute del figlio, scoprendo così che era nato morto a causa del cordone ombelicale attorno al collo.
L’uomo uscì dall’ospedale per andare a mangiare, ma quando tornò gli comunicarono che Cathrine aveva avuto un’emorragia.
Egli pregò per lei, pregò Dio per tenerla in vita, ma non rimase nulla se non aspettare la morte della donna che tanto aveva amato.

I personaggi della vicenda sono Frederick Henry, il protagonista del libro. In quest’esperienza conosce la giovane infermiera inglese Cathrine Barkley.
Nell’amore per Cathrine, Henry aveva trovato la sua ragione di vita, non poteva perderla.
Quando il figlio muore, Frederick pare quasi impassibile, pregando solamente per la vita dell’amata: “Ti prego, ti prego Dio Caro, non lasciarla morire, Dio Caro, non lasciarla morire. Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, non lasciarla morire. Dio, ti prego, non farla morire. Farò tutto quello che vuoi se non la lasci morire. Hai preso il bambino ma non lasciarla morire.” (Pag. 581, Capitolo 41, Addio alle armi.)

Con una scelta stilistica fatta di discorsi diretti e soliloqui, con frasi brevi e coincise, l’autore rende la drammaticità del momento.

In questo capitolo inizialmente si coglie il senso di preoccupazione, e successivamente d’impotenza da parte del protagonista, poiché rimane solo dopo la morte del figlio e di Cathrine.

Le sue riflessioni rendono molto bene l’angoscia che in quel momento deve aver provato il protagonista.

Questo capitolo è uno dei più toccanti del libro, poiché viene espressa l’impotenza di Frederick di fronte alla morte che, quasi ironicamente, non c’entra con la brutalità della guerra.

E. Hemingway, Addio alle armi, Traduzione di F. Pivano, Oscar Mondadori, I Meridiani, Verona, 1995.

Andrea Veronica


Addio alle armi
Nel caso del capitolo IX, il tenente Henry e gli chauffeurs giunsero al posto di raccolta, nella fornace, dove avrebbero atteso l’inizio del bombardamento.
Nel posto di medicazione vi erano già tre medici che Henry conosceva.
Si accordò con il maggiore perché gli chauffeurs venissero sistemati in un ricovero comodo e perché venisse dato loro da mangiare, preferibilmente prima che il comandamento cominciasse.
Il tenente rimase al ricovero con i compagni, fumarono e parlarono molto.
Gli chauffeurs erano tutti meccanici e odiavano la guerra.
Non si trattenevano dal mostrare il oro disprezzo per la guerra di fronte al tenente Frederic, seppur con rispetto nei suoi confronti. Lui accettava di buon grado, qualche volta ribatteva. Sapevano di potersi permettere di esprimere le proprie opinioni con lui.
“Sarebbe soltanto peggio se si smettesse di combattere.”
“Non potrebbe esser peggio” disse Passini con rispetto. “Non c’è nulla di peggio della guerra.” “La sconfitta è peggio.”
“Non credo” disse Passini sempre con rispetto. “Che cos’è la sconfitta? Si ritorna a casa.”
[…] “Tenente” disse Passini “Lei ci lascia parlare. Senta. Niente è brutto come la guerra. Noi nell’autoambulanza non si riesce neanche a capire come sia brutto. Quando si capisce com’è brutto non si può più far niente per fermarla perché si diventa matti.” Pagg. 53-54
Gli chauffeur avevano fame e volevano mangiare. Il tenente, quindi, accompagnato da uno degli chauffeur, Gordini, si recò nel ricovero del maggiore.
Il maggiore fece portar loro dei maccheroni freddi e del formaggio bianco.
Quando uscirono dal ricovero del maggiore il bombardamento era già cominciato.
Il tenente e Gordini raggiunsero gli chauffeurs nel loro ricovero, mangiarono i maccheroni e bevvero vino scadente.
Vi fu una bombarda, rumori assordanti e un momento di panico in cui il tenente sentì qualcuno gridare forte.
Comprese che era lo chauffeur Passini e che le sue gambe erano entrambe state troncate.
Tentò di muoversi verso di lui, ma era bloccato, quindi chiamò a gran voce il porta feriti, che però non arrivò.
Provò nuovamente a spostarsi verso Passini, questa volta ci riuscì.
Strappò un  lembo della sua camicia per poter legare un laccio emostatico intorno al moncone, ma mentre lo fece, si rese conto che non ce n’era più bisogno perché lo chauffeur era già morto.
Il suo primo pensiero corse immediatamente agli altri tre chauffeurs, ma non ebbe il tempo di fare niente perché venne ferito alle gambe.
Vennero in suo soccorso gli chauffeurs Manera e Gavuzzi e, tra le continue granate, riuscirono a trasportarlo al posto di raccolta, dove vi era già Gordini che era stato gravemente ferito.
Manera e Gavuzzi erano feriti leggermente, ma potevano guidare, quindi partirono con un carico di feriti ciascuno.
Uno chauffeur inglese venne verso il tenente insieme a Gordini.
Fece delle domande al tenente, si offrì di prendere le sue macchine e si premurò perché si prendessero in fretta cura di lui.
Al posto di medicazione lo visitarono e lo medicarono.
Lo caricarono su una barella e poi dentro un’ambulanza inglese insieme ad un altro uomo che sistemarono con la barella sopra di lui.
L’ambulanza partì e un rigagnolo caldo cominciò a colare sul petto del tenente che avvisò lo chauffeur  alla guida dicendogli che l’uomo sopra di lui stava avendo un’emorragia.
Quando il rivolo di sangue cessò di colare, Henry comprese che l’uomo era morto.
Il protagonista del brano è il tenente Henry, giovane americano figlio di un diplomatico venuto in Italia per arruolarsi volontariamente alla guerra, con un’idea di partenza al riguardo che viene poi stravolta di fronte alla crudeltà che ogni giorno si trova costretto ad affrontare.
In questo capitolo viene evidenziata l’avversione degli chauffeurs nei confronti della guerra.
Viene anche mostrato senza filtri ciò che la guerra riserva: morte e dolore ne sono i principali elementi.
La morte, raccontata attraverso la perdita dell’amico e compagno Passini.
Il dolore, non solo fisico, ma anche psicologico.
Personalmente, credo che la parte “migliore” di questo capitolo sia quando il tenente si rende conto che Passini è stato gravemente ferito.
Mi ha colpito il fatto che il primo pensiero di Henry, nonostante la situazione orribile, sia stato quello di aiutarlo, mettendo il compagno prima di se stesso.
Da questo si può certamente dire che la guerra, nonostante tutto, crei dei fortissimi legami fra chi ne prende parte.

E. Hemingway, Addio alle armi, traduzione di F. Pivano, Mondadori, Milano, 1946-1952.

Sara



Addio alle armi
di E. HEMINGWAY


Il protagonista, Frederic Henry, un giovane americano, si trova a combattere sull’Isonzo, a nord di Plava, che è a sua volta a nord di Gorizia, durante la Prima guerra mondiale.
È stato però ferito alle gambe, ai piedi e alla testa, perciò si ritrova all’ospedale americano di Milano, con le gambe fasciate di bende sudice e dolenti, dopo essersi reso conto degli orrori della guerra.
Viene qui accolto prima da un’infermiera anziana, in seguito da un’altra giovane e carina, che si prende cura di lui.
Il protagonista viene fatto sistemare in una stanza e viene accolto molto gentilmente.
Tuttavia, il medico era via e non poteva tornare entro breve.
Dopo alcuni malintesi e antipatie all’interno dell’ospedale, arriva Catherine Barkley, la giovane infermiera della quale Frederic è innamorato.
Dopo essersi scambiati varie dichiarazioni d’amore, la giovane è costretta ad andarsene ed a Frederic viene data la bella notizia che il dottore arriverà nel pomeriggio e lo potrà consultare.

E. Hemingway, Addio alle armi, Traduzione di F. Pivano, Oscar Mondatori, Milano 2007

COMMENTO PERSONALE

Hemingway utilizza la tecnica della narrazione per segmenti: il lettore si trova così coinvolto a pieno nelle vicende del protagonista e in tutto quello che accade nel romanzo.
La storia, secondo me, rappresenta pienamente il sentimento di critica contro ogni forma di violenza, e ,soprattutto, è uno sguardo consapevole sull’esistenza della sofferenza e della morte.
L’uomo risulta così impotente di fronte alle molteplici difficoltà che la vita presenta.
Il libro è, inoltre, ricco di dialoghi, che lo rendono ancora più accattivante e facilitandone la lettura.
In genere, i libri riguardanti la guerra non mi attirano molto, ma ‘’Addio alle armi’’, ricco di episodi, descrizioni, oltre a rappresentare una reale storia di guerra e d’amore molto avvincente, mi ha impressionata ed interessata parecchio.


Niente di nuovo sul fronte occidentale
Erich M. Remarque

La seconda parte del capitolo IX si apre con una riflessione << Dobbiamo prendere le cose più allegramente che ci è possibile, e perciò… fossa>> su ciò che è accaduto precedentemente, quando Paul uccide un soldato francese in un corpo a corpo.
Dopo aver passato circa tre notti fuori, al digiuno e al freddo, i compagni dello squadrone, Kat e Alberto lo trovano e insieme prendono la consegna di guardare un villaggio, che poco fa era stato raso al suolo dal tiro dei francesi. Quindi decidono di rifugiarsi in una cantina, dove trovano molte cose comode, viveri e tabacchi.
Per loro fortuna, dopo giorni e giorni di fame, riescono a fare “un pranzo coi fiocchi”, con del maiale arrosto, frittelle di patate e qualche conserva.
Dopo due settimane passate a mangiare, bere e andare a spasso, arriva loro l’ordine di partire quindi di dirigersi verso il fronte francese, per sgomberare un villaggio.
Qui li attende un attacco a sorpresa, che purtroppo, ferisce al ginocchio Alberto e alla gamba Paul.
Trasportati all’ospedale da campo, mandano loro l’ordine di tornare a casa, l’indomani, quindi, prendono il terno ospedale che li porta in una diligenza cattolica.

Il brano ci racconta, oltre ai momenti terribili della guerra, i momenti felici. Ci anche di quella “strana” felicità: strana perché i soldati sono felici pur essendo in guerra, e quella voglia di fare che hanno Paul e compagni per sentirsi come a casa loro, con del buon cibo e sigari da generali.
Secondo me, ci spiega come dei poveri soldati, stanchi della follia della guerra e dei massacri, tendono di evadere dalla crudele realtà con cose semplici: come un pranzo.
Il libro mi ha colpito molto, perché riesce a comunicare sia la tragedia della guerra che i sentimenti dei soldati.


Erich. M. Remarque, traduzione di S. Jacmi, Oscar Monmdadori, 1978

Nicolò